Quella di Niccioleta fu una delle più feroci stragi di civili compiute dai nazifascisti lungo la linea della ritirata dell’esercito tedesco. Per tutto il tempo di vita della Repubblica Sociale Italiana il territorio grossetano era stato teatro di numerose uccisioni di civili, frutto delle sole forze fasciste, come nel caso dei martiri d’Istia, o della collaborazione tra forze fasciste e reparti germanici (Wehrmacht o SS) come nel caso di Niccioleta.
Come hanno dimostrato studiosi del calibro di Klinkhammer con importanti lavori di ricerca e interpretazione storica, le violenze possono essere interpretate non come gli eccessi di un esercito reso rabbioso dall’imminente sconfitta, bensì quali esiti di una precisa strategia del comando supremo tedesco, utile a scoraggiare l’appoggio dei civili ai partigiani.
Nel villaggio minerario di Niccioleta abitavano i lavoratori della miniera, molti provenienti da altri comuni della provincia di Grosseto, soprattutto Santa Fiora e Castell’Azzara. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno un battaglione di SS italiane e tedesche circondò il villaggio, che nei giorni precedenti era stato occupato per breve tempo da un gruppo di partigiani. Alle prime luci del mattino del 13 furono catturate circa 150 persone. Una parte degli arrestati fu rilasciata, 6 minatori vennero immediatamente fucilati nella sala del Dopolavoro, 77 furono uccisi nel tardo pomeriggio del 14, a Castelnuovo Val di Cecina, dove erano stati trasportati. Molti degli uccisi figuravano negli elenchi dei turni di guardia, decisi dagli stessi minatori per difendere gli impianti. Non è stata provata nessuna correlazione con uccisioni di soldati tedeschi da parte di partigiani, tale da configurare l’ipotesi di una rappresaglia. Un dato accertato è la presenza di moltissimi antifascisti tra i lavoratori di Niccioleta.
Le spoglie dei minatori furono trasportate nei cimiteri dei paesi d’origine. La prima cerimonia avvenne a Massa Marittima alla fine del settembre 1944. Una grande folla seguì gli autocarri che trasportavano i feretri. Al parco della Rimembranza parlò a nome dell’intera cittadinanza il socialista Emilio Zannerini, autore della prima ricostruzione storica dell’evento, nel 1945.
Il CLN di Massa Marittima aprì immediatamente un’inchiesta, condotta dall’avvocato Tommaso Ferrini. Dopo una lunga istruttoria, che si protrasse fino al 7 novembre 1949, giorno di inizio del dibattimento davanti alla Corte d’Assise di Pisa, il processo si concluse con la condanna, pronunciata il 19, di alcuni fascisti di Niccioleta per collaborazionismo ed omicidio. Non sono mai stati perseguiti coloro avevano ordinato ed eseguito la strage, il tenente Emil Block e le SS tedesche ed italiane sotto il suo comando.
La tragedia di Niccioleta si è trasformata presto in patrimonio della memoria collettiva. Ne conservano tracce visibili Massa Marittima, Castelnuovo Val di Cecina, i paesi d’origine dei minatori uccisi, in monumenti e lapidi a ricordo; lo segnalano scritture che hanno saputo lasciarne traccia nella grande letteratura di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, e testimonianze di alto valore morale come quella di padre Ernesto Balducci. Resta poi la memorialistica e una storiografia arricchitasi soprattutto in anni recenti grazie a studi scientifici, che hanno fortemente contribuito alla comprensione delle dinamiche delle stragi nazifasciste in Italia.