remove_action('wp_head', 'wp_generator'); Grossetocontemporanea La Resistenza a Massa Marittima

La Resistenza a Massa Marittima

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“Durante la lotta antifascista, la generosa popolazione sosteneva coraggiosamente le valorose forze partigiane nella sua Resistenza e dava alla causa della libertà, con la difesa degli impianti minerari della Niccioleta e la conseguente cruenta repressione, largo contributo di combattenti, di sangue e di sofferenza”: con questa motivazione al Comune di Massa Marittima è stata attribuita la medaglia d’argento al valor militare. Altre quattro medaglie al valor militare ottenute per la partecipazione alla lotta di liberazione massetana: d’oro quella di Norma Pratelli Parenti, d’argento quelle di Elvezio Cerboni, Alfredo Gallistru, Remo Meoni.

La spiegazione dell’intensa partecipazione alla lotta di Liberazione della popolazione di Massa Marittima va ricercata nella compenetrazione di più culture politiche: quella tradizionale repubblicana, mazziniana e garibaldina, di origine ottocentesca, quella anarchica e quella socialista/comunista, radicatesi nel territorio grazie alla nascita precoce e alla portata del movimento operaio e sindacale.

Il contributo della Resistenza civile a sostegno della Resistenza armata è stato essenziale: il cibo e la protezione offerti dai contadini, i collegamenti assicurati dalle staffette, la solidarietà dei minatori, la complicità del clero, la disobbedienza della magistratura.

La prima mobilitazione, a pochi giorni di distanza dalla proclamazione della Repubblica Sociale Italiana, nel settembre 1943, fu il raggruppamento dei cosiddetti “ragazzi della Torre”, una ventina di giovani che scelsero di darsi “alla macchia”. Contemporaneamente, un gruppo di antifascisti costituì il Comitato di Liberazione Nazionale di Massa Marittima. Di lì a poco, la formazione di una vera banda partigiana, numerosa ed agguerrita, comandata dal giovane Elvezio Cerboni, ingrossata da ragazzi decisi a non rispondere al bando di arruolamento emanato dal ministro del governo fascista repubblicano Graziani.

Fin dall’ottobre del 1943 il capo della Provincia, Alceo Ercolani, si distinse nel perseguire accanitamente i renitenti alla leva, tanto che il suo comportamento fu encomiato dal comando militare tedesco, e le misure da lui adottate indicate “ai prefetti e ai capi di provincia come degne di imitazione”. “Avvisi agli sbandati”, circolari, telegrammi ai podestà dei comuni annunciavano che per i disobbedienti sarebbe avvenuto “l’inesorabile”, mentre minacciavano severe punizioni alle famiglie. A questo clima di feroce repressione si oppose un magistrato coraggioso, il pretore di Massa Marittima Donato Giuseppe De Marco, che rifiutò di assecondare la persecuzione delle famiglie dei renitenti, meritando di essere citato da Piero Calamandrei, a guerra finita, come esempio di coscienza libera.

Agli ordini fascisti si sovrapponevano le disposizioni del comando militare tedesco, tese ad annientare le bande, che impedivano il controllo del territorio. Rappresaglie e violenza gratuita colpirono sempre più duramente anche la popolazione civile.

Il 4 novembre 1943 il massetano Mario Chirici, antifascista repubblicano proveniente da un’esperienza di lotta partigiana in Istria, si incontrò con un nucleo di partigiani, guidati da Renato Piccioli. Per investitura del CLN di Massa Marittima, il 6 novembre sostituì Elvezio Cerboni al comando della banda, che dal gennaio 1944 sarà la III Brigata Garibaldi. Nuove adesioni e frazionamenti disegnarono una complessa geografia di gruppi armati, che resero difficilissimo il controllo del territorio alle forze militari e civili fasciste ed alle unità della Wermacht, come testimoniano le relazioni delle Militarkommandanturen germaniche.

Il contributo delle azioni militari dei partigiani massetani si sviluppò ampiamente nel territorio delle Colline Metallifere, fino a Suvereto e Monterotondo. L’episodio più tragico rimane la “battaglia del Frassine”, il 16 febbraio del 1944, che fu in realtà l’epilogo di un rastrellamento condotto con grande dispiegamento di forze, sollecitato da una spia fascista. I partigiani, sorpresi nel sonno, accerchiati e catturati, furono in parte uccisi, in parte trasferiti a Firenze, nel carcere delle Murate. Il lutto per le perdite e lo sbandamento di tutto il movimento partigiano provocarono dolore, ma anche risentimenti e polemiche sulla conduzione delle azioni militari. Fu ragione ulteriore di divisione tra la componente comunista, che faceva riferimento al commissario politico Giorgio Stoppa, e quella repubblicana di Chirici, contestato anche per la scelta di subordinare la banda massetana al Raggruppamento Monte Amiata del colonnello Croci, monarchico.

caduti_massa_mmaIl costo in vite umane è stato alto da ambedue le parti in lotta. Tra i partigiani, oltre alle cinque vittime del Frassine – Silvano Benedici, Pio Fidanzi, Otello Gattoli, Salvatore Mancuso, Remo Meoni –, molti altri caduti nel corso di scontri armati, tra cui il tenente Alfredo Gallistru, sardo, ma partigiano massetano per elezione. Fu ucciso nel carcere delle Murate, dove era stato trasferito dopo la cattura, Elvezio Cerboni.

Molti civili, che scelsero la solidarietà con il movimento partigiano, subirono violenze o trovarono la morte. L’episodio che destò la più forte emozione e il più fermo sdegno fu la morte della staffetta Norma Pratelli Parenti, il 22 giugno 1944. La sua straordinaria storia richiama la tragedia di Antigone: anche lei scelse “la legge del cuore”, disobbedendo all’ordine del tiranno di non dare sepoltura ai partigiani morti e fu uccisa.

Offrirono sostegno ai resistenti due sacerdoti: Don Angelo Biondi, componente del CLN di Suvereto, e Don Ugo Salti, che, costretto dalle persecuzioni fasciste ad abbandonare il suo ruolo di parroco di Follonica, si unì ai partigiani.

Le memorie partigiane ci consegnano la cronaca di numerose azioni della bande nella tarda primavera del 1944. Nei giorni che precedono la Liberazione all’inizio della ritirata dei soldati della Wermacht e delle SS si accompagnano le uccisioni dei civili. Le immagini di un Combat film girato dagli operatori americani, conservato nell’archivio ISGREC e in parte presente anche tra la documentazione dell’Istituto Luce (link), documentano l’ultimo tratto del cammino di un numeroso gruppo di partigiani – tra cui è identificabile Mario Chirici – verso Massa Marittima. Gli alleati vi entrarono il 24 giugno. Ai componenti delle bande, immediatamente dopo il loro ingresso in Massa Marittima, fu dato l’ordine di consegnare le armi.

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