Nel settembre 1936, quando il regime fascista era ancora ben saldo al potere, su un muro di Grosseto fu affisso un foglio del giornale “L’intransigeant”, contenente scritte sovversive. Presunto colpevole di questo simbolico gesto di dissidenza fu ritenuto un giovane antifascista grossetano, Albo Bellucci -classe 1907- un impiegato di sentimenti repubblicani, entrato a far parte delle cellule comuniste cittadine nel corso del 1935. Pur essendo riuscito a dimostrare la sua estraneità al fatto grazie ad una perizia calligrafica, Bellucci fu comunque fermato e diffidato il 1° aprile del 1937 e, successivamente, perse anche il proprio lavoro di commesso presso il Tribunale di Grosseto. La dissidenza al regime si pagava non solo con la coercizione economica ma anche con la violenza. Alla fine del mese di ottobre 1937, secondo quanto raccontato dal comunista Aristeo Banchi -il noto partigiano “Ganna”- Bellucci fu “ridotto a uno straccio a furia di manganellate”.
Nel 1941, a guerra già in corso, lo stesso Banchi cercò di irrobustire la rete delle cellule del partito comunista, con l’ausilio di Enrico Orlandini e Albo Bellucci. Le riunioni si tenevano nel panificio dell’Orlandini in Via Ricasoli e nel suo molino in Via De’ Barberi. In seguito alla denuncia di un infiltrato, Bellucci fu arrestato insieme ad altri tre compagni il 4 febbraio del 1942 e condannato al confino per un anno in un paesino della Basilicata (27 marzo 1942). Prosciolto con la condizionale il 31 ottobre dello stesso anno, Bellucci non abbandonò le sue idealità antifasciste e, subito dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, prese parte alle prime riunioni del Comitato militare provinciale presso la Villa Mazzoncini, in Via Mazzini. Quest’organismo, deputato al coordinamento della prima attività partigiana in provincia e vero precursore del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, fu smantellato dalla Guardia Nazionale Repubblicana nel rastrellamento del 26 novembre condotto presso la tenuta di Campo Spillo a Magliano, sempre di proprietà del Mazzoncini e luogo delle riunioni clandestine. Albo Bellucci fu arrestato a Paganico insieme a Ultimino Magini. Tutti i tentativi dei compagni di lotta per ottenere il suo rilascio furono destinati al fallimento. Albo Bellucci, Tullio Mazzoncini e Giuseppe Scopetani, affidati al Tribunale speciale, furono trasferiti nelle carceri di Siena e poi in quelle di Parma. All’inizio del 1944 per i tre antifascisti si aprirono le porte del lager di Mauthausen.
Solo Mazzoncini sopravvisse a quella terribile esperienza di prigionia, lavori forzati, freddo e fame. Albo Bellucci morì a Gusen, una tra le più dure dependences di Mauthausen, il 22 aprile del 1945. Per tutta la vita Mazzoncini cercò notizie e testimonianze sulla prigionia e la morte dei suoi due compagni. Negli anni ’70 riuscì a rintracciare un compagno di prigionia del Bellucci, il “professor Aronica”, testimone dei suoi ultimi giorni di vita.
Scrive infatti Mazzoncini su Nuova Toscana (n.6 del 06.03.76):
«Il caso mi separò assai presto dopo la rituale quarantena a Mauthausen, dai miei cari compagni di cella nella prigione di Siena e poi quella di Parma ove eravamo stati trasferiti a disposizione del Tribunale speciale, Albo Bellucci e Giuseppe Scopetani. Dopo quaranta giorni trascorsi nell’estenuante lager di Gross Raming, dependance di Mauthausen, l’attentato a Hitler e la conseguente cessazione dei lavori per i civili, ci riunì ancora a Mauthausen, malauguratamente loro due finirono poco dopo a Gusen, una tra le più tragiche dependences di Mauthausen. Appena giunsero gli americani mi recai al Bureau ed ebbi la tremenda notizia della loro morte. Subito mi detti da fare per avere notizie sulla loro fine a mai riuscii ad averne pur avendone chiesto ai superstiti di Gusen di ogni nazionalità. Una corrispondenza intensa dal ‘46 al ’48 circa fu ugualmente senza esito: mi ero rassegnato. Un giorno poco tempo fa, per caso seppi che in uno dei due libri di Pappalettera di parlava di Albo. Scrissi subito a Pappalettera ed ebbi l’indirizzo del caro Prof. Aronica di cui prego il giornale di pubblicare l’allegata lettera[…]».
Quella memoria, di cui riportiamo alcuni passi(1), trasuda l’impotenza e la pietà di fronte al deperimento di una giovane vita, consumata dal terrore del totalitarismo.
«[…] Bellucci portava nel volto e in tutto il corpo i segni della sofferenza. Era sempre sorridente, però, quasi che il pensiero della morte vicina gli desse un senso di rassegnazione, di liberazione e quasi di gioia. Non solo egli era più anziano di noi, ma aveva trascorso un periodo di prigionia più lungo. (…) Quella notte, il civile austriaco che aveva l’incarico di sorvegliarci durante il lavoro, ci sussurrò che ormai la guerra volgeva al termine e giungevano notizie di rotta su tutti i fronti: la notizia ci riempì di gioia. (…) Tre giorni dopo, durante il riposo al campo, Bellucci mi disse piangendo che era stato colpito dalla dissenteria. Un brivido mi percosse le ossa. Sapevo che quel male significava la morte. Il povero Albo era ormai condannato o alla morte naturale o all’assassinio da parte dei carnefici. Il giorno dopo venne a lavorare ma sul treno piangeva, piangeva come un bambino. Diceva che non si sentiva più la forza per reggersi in piedi. E noi, per incoraggiarlo, a dirgli che si facesse forza, che ormai la guerra volgeva alla fine (si era verso il 20 aprile 1945). Non hai sentito cosa ha detto l’austriaco? Si lo so…ma io non ho più la forza di resistere…La notte lo facemmo sedere e riposare, vigilando e lavorando per lui. La mattina, durante il breve viaggio di ritorno al campo, mi parlava, mi sembrava più calmo e più sereno. Ma non potei fare a meno, all’incerta luce dell’alba, di notare il suo sguardo vitreo e le sue labbra dallo strano colore violaceo. Povero Albo! Forse aveva poche ore di vita. Giunti al campo ci fu distribuito il solito pezzetto di pane nero e ammuffito e il mezzo litro di brodaglia. Albo ingoiò soltanto questa: il pane lo regalò a me e a Turri. Nel pomeriggio, al tramonto, vidi venirmi incontro Turri, il quale, con voce spezzata, mi disse che Bellucci stava per morire, fuori dietro la baracca. Corremmo e lo trovammo sdraiato a terra, con gli occhi spalancati e paurosamente vitrei. Muoveva debolmente le labbra, forse nel tentativo di mormorare una preghiera. Che cosa avremmo potuto fare noi, suoi compagni, infelici, deboli quanto lui? Dio! Dio! Un uomo era là, steso per terra, sul punto di morire e forse nutriva nel cuore, ormai stanco, una segreta speranza di salvezza…. E noi lo guardavamo immobili, sbigottiti. Non una lacrima sgorgava dai nostri occhi. Albo era ormai immobile, col viso illuminato dagli ultimi raggi del sole. Forse, all’approssimarsi della morte, aveva voluto cercare il sole, la luce che lo liberasse dal peso ormai insopportabile di quel corpo disfatto. Addio Bellucci! La sorte ha voluto che tu giungessi al sacrificio supremo!».
(a cura di Marco Grilli)
(1) Nota bibliografica: Domenico Aronica (a cura di Gianni A. Cisotto), La tragica avventura. Un siciliano dall’Altopiano di Asiago a Gusen II. ISTREVI, Cierre edizioni, pp. 102-117.